Le imprese alla prova degli obblighi di due diligence derivanti dalla normativa UE

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Le imprese alla prova degli obblighi di due diligence derivanti dalla normativa UE
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Avv. Giulia Comparini, Dott.ssa Alessia Guidi - COCUZZA 
Il Fit for 55 package è un pacchetto di riforme presentato alla Commissione Europea nel 2021 che si inserisce nell’ambizioso progetto promosso dalla Presidenza Von Der Layen per contrastare il cambiamento climatico, meglio conosciuto come “Green Deal”.
I nobili obiettivi che l’Europa si è posta puntano alla riduzione delle emissioni di almeno il 55% – da qui il nome del package – (rispetto ai livelli del 1990) entro il 2030 per poi raggiungere lo scopo finale del Green Deal: la neutralità carbonica su tutto il territorio europeo entro il 2050.
Tra i moltissimi i provvedimenti già approvati o in corso di approvazione nell’ambito di tale progetto, alcuni assumono la forma di regolamenti, altri quella di direttive. Con riferimento agli obblighi di due diligence delle aziende riguardo alla catena di approvvigionamento negli ultimi mesi ci si è molto soffermati sulla direttiva Corporate sustanability due diligence (CSDDD) approvata il 15 marzo scorso, dopo varie vicissitudini, dal Consiglio dell’Unione Europea. Si tratta di un provvedimento che impone alle imprese di controllare le catene di fornitura sia all’interno che all’esterno dell’UE per verificare la presenza di pratiche ambientali e lavorative scorrette. Il testo approvato è stato molto ammorbidito e le relative disposizioni dovranno essere prima implementate con leggi di recepimento negli Stati membri per poi trovare applicazione con gradualità a seconda delle dimensioni delle imprese. In ogni caso, le nuove disposizioni non potranno applicarsi ad imprese con meno di 1.000 dipendenti e un fatturato netto mondiale inferiore a 300 milioni di euro. Nel frattempo, tuttavia, è bene ricordare che l’UE ha già adottato ed è in procinto di adottare anche altri provvedimenti di contenuto simile – nel senso che attengono anch’essi all’introduzione di obblighi di due diligence per le imprese – tramite lo strumento dei Regolamenti i quali, a differenza delle Direttive, sono immediatamente applicabili e non richiedono dunque di alcun tipo di provvedimento di recepimento da parte dei singoli Stati membri. Occorre dunque prestare una particolare attenzione a quanto previsto dai Regolamenti, essendo questi direttamente vincolanti per tutti i soggetti destinatari ivi comprese le PMI.
Vediamo ora alcuni dei provvedimenti già adottati e altri prossimi all’approvazione definitiva.
Regolamento Deforestazione (n. 2023/115): pubblicato meno di un anno fa, il 9 giugno 2023, anche conosciuto come “EUDR” introduce obblighi di due diligence per tutti gli operatori – comprese le piccole medie imprese – che commercializzano, importano o esportano dal mercato dell'UE i seguenti prodotti: olio di palma, bovini, legno, caffè, cacao, gomma nonché altri beni derivati tra cui il cioccolato, i mobili e la carta stampata.
Questa nuova normativa impone il divieto totale di commercializzare i beni richiamati, a meno che non siano soddisfatte tre condizioni cumulative: (a) devono essere a deforestazione zero; (b) devono essere stati prodotti in conformità con la legislazione applicabile nel Paese di produzione; e (c) devono essere coperti da una dichiarazione di dovuta diligenza.
In particolare, le aziende saranno chiamate a verificare che nessuno dei beni commercializzati provenga da terreni oggetto di deforestazione o degrado dopo il 31 dicembre 2020.
Potranno dunque essere commercializzati sul mercato unico europeo i soli prodotti accompagnati da una dichiarazione di due diligence che attesti che la catena di approvvigionamento è a “deforestazione zero” rispetto alla data del 31 dicembre 2020.
I principali soggetti interessati dal Regolamento Deforestazione sono le imprese operanti nel settore agroalimentare e manifatturiero di arredi e carta da editoria. Le tempistiche entro le quali i soggetti sono tenuti ad organizzarsi per essere compliant con il Regolamento variano in base alle dimensioni: in generale occorre adeguarsi entro il 30 dicembre 2024, ad eccezione delle PMI a cui, invece, sono concessi sei mesi di tempo in più (per queste il termine è fissato al 30 giugno 2025). Proprio in ragione delle ridotte dimensioni, gli obblighi per le PMI sono meno stringenti, potendo queste affidarsi anche ai risultati di due diligence già effettuate da altri operatori.
A ciascuno Stato è stato attribuito un livello di rischio di deforestazione – basso, medio, alto – sulla base del sistema di valutazione comparativa (“country benchmarking system”), all’aumentare del quale si intensificherà il livello di approfondimento dell’indagine da parte degli operatori e, parallelamente, dei controlli e ispezioni da parte delle autorità competenti.
Il Regolamento impone ai singoli Stati membri di predisporre un sistema di sanzioni proporzionate, efficaci e dissuasive e di definire la portata di quelle pecuniarie il cui importo massimo, in ogni caso, non potrà essere inferiore al 4% del fatturato annuale dell’impresa, oltre alla confisca dei prodotti e dei proventi, e ad altre sanzioni accessorie.
Altro provvedimento di derivazione UE la cui definitiva approvazione è da tenere sotto controllo è il Regolamento lavoro forzato: il 5 marzo, il Consiglio dell’Unione europea e il Parlamento Europeo hanno comunicato di aver raggiunto un accordo sulla bozza di Regolamento proposta dalla Commissione che vieta l’immissione, la messa a disposizione e l’esportazione nel o dal mercato unico europeo dei prodotti ottenuti con il lavoro forzato.
Il Regolamento lavoro forzato si colloca nell’impegno assunto dalle Nazioni Unite di eliminare, entro il 2030, il lavoro forzato a prescindere dalla misura (in tutto o in parte) e dalla fase di fabbricazione del prodotto in cui questo viene sfruttato: raccolta ed estrazione, comprese le lavorazioni o trasformazioni connesse alla sua catena di approvvigionamento.
Ma in concreto in cosa si traduce questo nuovo divieto? Gli operatori coinvolti dovranno rispettare ulteriori obblighi di due diligence sull’intera catena di approvvigionamento per garantire che i prodotti non siano il risultato di lavoro forzato.
Anche in questo caso verrà abbracciato un approccio basato sul rischio. Gli operatori potranno accedere a specifiche banche dati o elenchi ufficiali appositamente istituiti e costantemente aggiornati. In questo modo si potrà verificare il grado di rischio di lavoro forzato delle aree geografiche da cui proviene il prodotto che si intende commercializzare. La logica di tale approccio è semplice: all’aumentare del grado di rischio attribuito sarà richiesto un maggiore livello di attenzione e di approfondimento dell’indagine dell’operatore.
Il divieto – una volta approvato il Regolamento – opererà senza distinzione nei confronti di grandi imprese e PMI. Questo è un aspetto di fondamentale importanza, soprattutto considerato il carattere di diretta applicabilità dei Regolamenti che ricordavamo in apertura. Anche per tale ragione, è attesa la pubblicazione delle linee guida della Commissione che possano indirizzare gli operatori su aspetti, tanto pratici quanto fondamentali, come il livello di diligenza richiesto in base alle proprie dimensioni e capacità o gli indicatori di rischio di lavoro forzato.
È dunque opportuno che le imprese prestino una particolare attenzione alle normative di derivazione europea e alla loro entrata in vigore nei singoli Stati membri onde organizzare le proprie attività in relazione agli specifici obblighi di volta in volta previsti ed evitare di incorrere in spiacevoli sanzioni.

Articolo redatto da Cocuzza, partner operativo di FederCamere.